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CURIOSITÀ 31 AGOSTO 2020

Giappone, dove i tacchi alti sono obbligatori per le donne

Nel Paese del sollevante è nato un vero e proprio movimento contro i tacchi alti imposti dal mondo del lavoro. Ecco, fra una protesta e l’altra, cosa sono riuscite ad ottenere le donne giapponesi.

I media occidentali l’hanno ribattezzato il #MeToo orientale; il #KuToo è una campagna femminista contro lo scomodo dress code imposto delle aziende nipponiche.
In tantissime hanno firmato la petizione, condividendo sui social le foto dei propri piedi, feriti da ore ed ore su tacchi scomodi.
C’è anche chi si è vista licenziare a causa di scarpe basse; per i gruppi femministi una vera e propria forma di discriminazione sessuale, una pratica scorretta paragonabile alla fasciatura ai piedi delle bambine in uso nella Cina imperiale, al fine di farli restare piccoli.

Ma in realtà il problema del dress code “imposto” non riguarda solo il Giappone; basta pensare alla protesta anglosassone di Nicola Thorp, receptionist londinese licenziata nel 2016 perché rifiutatasi d’indossare i tacchi per tutto l’orario di lavoro.
Va detto che nel mondo, anche grazie al potere dei social, diverse leggi riguardanti le calzature sono state cancellate, liberando ad esempio dalla schiavitù del tacco le cameriere di Las Vegas e le assistenti di volo nelle Filippine.

E anche il #KuToo sembra cominciare a produrre i suoi frutti: diverse compagnie aeree hanno deciso di rivedere i propri regolamenti, un grande passo avanti considerando che solo la Japan Airlines – fra queste – conta circa 6 mila dipendenti donne.
Per la scrittrice Yumi Ishikawa, fondatrice del movimento, si tratta di una conquista, fermo restando che – a detta sua – dovrebbero adeguarsi tutte quelle realtà professionali in cui vige la regola del tacco alto. Insomma, la strada per il cambiamento è ancora lunga; intanto podologi e ortopedici ribadiscono: passare molte ore al giorno sui tacchi non fa bene alla salute.

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