Negli ultimi dieci anni il consumo di acqua in bottiglia è aumentato vertiginosamente, piazzando l’Italia al primo posto in Europa e al terzo nel mondo. Anche in Italia, come nel resto del mondo, il trasporto dell’acqua imbottigliata è uno dei punti cruciali dello spreco nell’intero ciclo produttivo. Dagli stabilimenti di imbottigliamento, le bottiglie percorrono centinaia di chilometri per essere poi distribuite in tutto il Paese. Il business riversa purtroppo le sue conseguenze sull’ambiente. Il Mar Mediterraneo, per esempio, essendo un mare quasi chiuso, rischia sempre più notevoli accumuli di microplastiche con effetti devastanti sull’habitat marino. Basta pensare al capodoglio spiaggiato in Sardegna con 22 kg di plastica in corpo. Da qui la decisione dell’Unione Europea di impegnarsi per migliorare la qualità dell’acqua del rubinetto e limitare il consumo di quella in bottiglia. Anche le Regioni italiane hanno cominciato ad applicare il Water Safety Plan, ovvero un monitoraggio più intensivo sull’acqua potabile. Peccato che la maggioranza degli italiani continui a preferire l’acqua confezionata, nonostante il 90% degli intervistati si sia detto consapevole che presto ci sarà più plastica che pesci. Stando alla sicurezza per la salute – dato non indifferente – secondo due studi del 2018, quasi tutti i campioni d’acqua imbottigliata analizzati sono risultati contaminati da microplastiche. A differenza dell’acqua del rubinetto, risultata essere sicura. Insomma, per l’Italia la strada da fare sembra essere ancora lunga, soprattutto se la si raffronta a città come San Francisco in cui le bottiglie di plastica sono state bandite.