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CURIOSITÀ 05 FEBBRAIO 2022

La riscossa delle cozze, ora anche i mitili hanno le perle

Le cozze finalmente si possono prendere la loro rivincita: anche loro possono contenere le perle. Invece, non possono più essere utilizzate per fare paragoni con individui, animali oppure oggetti non particolarmente belli esteticamente. Apprezzate per il loro gusto e la loro versatilità in cucina, adesso sono anche preziose, come le ostriche.

Anche i mitili – nome scientifico Mytilus galloprovincialis – “inertizzano” i corpi estranei e li rendono strutture di norma sferiche costituite da carbonato di calcio. E allora perché non sfruttare questa possibilità? È la domanda da cui è nato l’esperimento di Sara Fioretti – assegnista di ricerca all’Anton Dohrn – e di Francesco Paolo Patti, in collaborazione con l’università Federico II.

“Abbiamo iniettato, attraverso un foro praticato nella valva superiore della cozza e senza intaccarne i muscoli e la funzioni fisiologiche, una piccola sfera di plastica modellabile, e con lo stesso materiale abbiamo richiuso il piccolo buco, senza causare alcun danno all’organismo”: queste le parole della ricercatrice.

Come reagiscono i molluschi

Il mollusco, come le celebri ostriche, secerna una sostanza uguale a quella della conchiglia: è una forma di difesa, perché avverte l’intrusione come un pericolo. Avvolge il corpo estraneo con del carbonato di calcio, per l’appunto.

Una sorta di magia, che in passato ha dato vita anche ad alcune leggende. Si pensava che le perle fossero legate alle lacrime di Dio o a quelle degli angeli, oppure al passaggio di un fulmine attraverso il corpo dell’ostrica.

Al di là delle credenze popolari l’esperimento è riuscito. Sono stati ricavati circa 100 esemplari su cui provare le teorie dei due studiosi. Cozze fra i sei mesi e l’anno di vita hanno creato delle perle. Per avere delle risposte c’è voluto un anno, ma ne è valsa la pena. Il risultato non è perfettamente sferico, ma la struttura è assimilabile senza dubbio a quella delle perle prodotte dalle ostriche. Se poi si innesta qualcosa di diverso dalla plastica, la qualità potrebbe essere nettamente superiore.

Gli scienziati hanno anche depositato il brevetto di una tecnica innovativa, chiamata grafting. Un risultato apparentemente di poco conto, di nicchia ma che in realtà apre degli scenari interessanti in termini di sostenibilità. Si possono creare, infatti, allevamenti a basso impatto ambientale e senza sprechi. Si unisce l’utile al dilettevole, insomma.

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