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BUONO A SAPERSI 26 MARZO 2022

Lavoro, perché svanisce il mito del posto fisso anche fra i giovani

Il sogno del lavoro fisso sembra non essere più così diffuso in Italia, soprattutto nella fascia dei più giovani. Dai dati dell’Associazione Italiana Direzione Personale, le dimissioni volontarie tra chi è da meno tempo nel mondo dell’occupazione in Italia hanno toccato il 60% delle aziende. Cosa si cerca ora? Un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata con conseguenti condizioni economiche più soddisfacenti. A incidere, sembrano essere stati anche gli effetti della pandemia con il numero degli under 40, che ha deciso di licenziarsi, aumentato del 26% negli ultimi due anni. Mentre si parla di Gigafactory e del perché sia importante, dall’altro lato c’è un fenomeno finora sconosciuto nel nostro Paese, quello di coloro che abbandonano il posto fisso.

Perché svanisce il mito del posto fisso

Il fenomeno di un gran numero di persone che sceglie di dimettersi dal lavoro è stato chiamato “Big quit” o “Great resignation”. Sempre dai dati dell’Aidp, i settori maggiormente coinvolti sono quello Informatico e Digitale (32%), Produzione (28%) e Marketing e Commerciale (27%). A scegliere di cambiare lavoro sarebbero soprattutto le persone nella fascia d’età compresa fra i 26 e i 35 anni, che costituisce il 70% del campione analizzato. Tre le condizioni che porterebbero alla scelta di dare le dimissioni: la ripresa del mercato, la ricerca di condizioni economiche più soddisfacenti e la speranza di trovare altrove un miglior equilibrio fra vita privata e lavoro. Da tener conto è anche che l’Italia è il Paese con il numero di Neet più alto d’Europa, ossia i ragazzi under 30 che non studiano, non si formano e non cercano lavoro, e con un gran numero di giovani che espatriano all’estero in cerca di futuro. Anche secondo quanto emerso dalla ricerca “Employer brand research” dell’agenzia internazionale per il lavoro Randstad, a guidare le scelte dei lavoratori non sono più carriera e retribuzione, ma appunto il “work life balance”, ossia la sostenibilità del lavoro e della vita privata. In questo contesto, la pandemia avrebbe giocato un ruolo fondamentale con l’introduzione dello smart working e la condizione di dover restare a casa, con contatti sociali limitati, che avrebbe permesso di mettere a fuoco i limiti della propria condizione occupazionale.

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