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CURIOSITÀ 04 MARZO 2020

Perché il VAR si chiama così?

Perché il VAR si chiama così? Il termine VAR è entrato nel linguaggio calcistico nazionale per indicare i due ufficiali di gara che collaborano con l’arbitro in campo, esaminando le situazioni dubbie della partita tramite l’ausilio di filmati. Ma da dove arriva questa parola? Il nome è l’acronimo di Video Assistant Referee e fa riferimento a colui che integra le decisioni dell’arbitro, visionando le registrazioni delle telecamere a disposizione. Il VAR può essere usato esclusivamente in quattro casi, determinanti per lo sviluppo della partita e del risultato: assegnazione di un gol, di un calcio di rigore, espulsione diretta o errore di identità. Gli arbitri addetti al sistema sono il VAR e l’AVAR, in costante comunicazione via radio con il direttore di gara in campo. Il funzionamento della procedura è formato da tre fasi diverse: 1) VAR e AVAR informano l’arbitro circa una decisione da rivedere; 2) I due rivedono le immagini video, spiegando all’arbitro cos’è successo; 3) l’arbitro rivede il video a bordo campo, prendendo la sua decisione finale. La FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) è stata fra le prime a chiedere l’utilizzo della moviola in campo, dopo una partita Juventus-Roma finita per 3-2 per i padroni di casa, in cui entrambe le squadre si sono lamentate per gravi errori ai loro danni. Ma il VAR non si usa solo nel calcio: è stato introdotto per la prima volta nel ciclismo con la Milano-Sanremo 2018, al fine di scovare infrazioni in tempo reale intervenendo nell’immediato per garantire la massima correttezza della gara. Anche nel campionato di volley si utilizza un sistema simile, chiamato Video Check, per individuare invasioni a rete o tocchi del muro e certificare se la palla ha toccato terra all’interno o all’esterno delle linee che delimitano il campo di gioco, quando c’è incertezza da parte degli arbitri o in caso di contestazione di una delle due squadre.

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