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CURIOSITÀ 06 MAGGIO 2023

Perché La Sirenetta e la Regina di Bridgerton non sono bianche?

Da mesi si discute della decisione di cambiare drasticamente l’aspetto di Ariel per il film live action ”
La Sirenetta“. La protagonista del film di animazione che ha dato vita al Rinascimento Disney, è interpretata nella versione in carne e ossa dalla talentuosa attrice e cantante
Halle Bailey. I fan del cartone animato si sono imbufaliti per il
colore della pelle della figlia di Re Tritone. Anche la serie evento ”
Bridgerton“, ambientata in Inghilterra tra la fine dell’età georgiana e l’inizio di quella vittoriana, ha fatto parlare per il casting di regine nere e membri della famiglia reale con una carnagione molto diversa da quella storicamente accurata. Ma perché sono state fatte queste scelte? Cos’è il color blind casting e cosa c’entra il white washing Il
color blind casting, che è traducibile in italiano come “casting senza vedere il colore”, è una pratica che prevede la selezione di attori e attrici senza prendere in considerazione l’etnia. È un processo che si basa dunque esclusivamente sulle abilità e il talento del professionista, piuttosto che sull’apparenza fisica. L’obiettivo è la promozione della rappresentanza e dell’inclusione sociale nei film, nella serie tv, a teatro e in altri media. Il fenomeno è nato come risposta al
white washing, la pratica di far interpretare personaggi che hanno precise origini geografiche a bianchi. È successo ad esempio con Johnny Depp, scelto per interpretare il nativo americano Tonto in “The Lone Ranger”, Scarlett Johansson, per la giapponese Motoso Kusanagi in “Ghost in the Shell”, e Jake Gyllenhaal, per il “Prince of Persia” Dastan. In quel caso senza troppe polemiche, almeno da parte degli spettatori che non fanno parte di minoranze. Principesse nere e cast
all black: strategia commerciale? Spesso queste operazioni portano
pubblicità gratuita all’opera, viste le polemiche che nascono inevitabilmente in rete, e sono
trovate commerciali per rivolgersi a fette sempre più grandi di pubblico. Negli Stati Uniti, ad esempio, si stima che i cittadini bianchi siano circa 200 milioni sui 330 milioni totali. Fare film e cartoni animati con principesse ed eroi neri, ispanici, nativi americani, mediorientali e asiatici, in cui tutti i bambini possono identificarsi, significa anche vendere
biglietti e merchandising ad ancora più famiglie americane. Pensando a un target ancora più vasto nel resto del mondo. Molto è cambiato rispetto al (seppur recente) passato eurocentrico del mondo occidentale, in cui chi aveva maggiore potere di acquisto era bianco. Diversi brand oggi si rivolgono a una moltitudine di culture ed etnie, sfruttando gli effetti delle lotte razziali e dell’emancipazione dei popoli. Ma quindi si riduce tutto a fattori meramente
economici? Non proprio. Inquadrare il fenomeno solo in questa cornice sarebbe davvero limitante. Rappresentanza e inclusività: attenzione ai falsi storici Proprio perché
la società è cambiata, è giusto dare spazio a nuove voci e nuovi colori. Ricordandosi che le opere di fantasia non devono necessariamente rispecchiare la realtà, e diverse interpretazioni di personaggi non ne cancellano le versioni originali o storiche. Per i bambini degli anni ’90, Ariel rimarrà sempre quella disegnata e dalle fattezze ispirate ad Alyssa Milano. Per le nuove generazioni avrà il volto e la voce di Halle Bailey. E pazienza se la
Regina Carlotta di Netflix immaginata da Shonda Rhimes ha l’aspetto di Golda Rosheuvel: “Bridgerton” e il suo prequel narrano storie, senza la pretesa di raccontare la Storia. Diverso è il caso di biopic e documentari che ripercorrono le vite di personaggi davvero esistiti, come la
Cleopatra della docuserie
Netflix prodotta da Jada Pinkett Smith, che stravolgerebbe le poche certezze sulla regina d’Egitto, rappresentata come una
donna nera – dall’attrice Adele James – e non di
origini greche. La scelta ha fatto infuriare gli esperti e si sono levate voci di protesta dal Cairo. Forse stiamo vivendo un’epoca di passaggio, in cui è ancora necessario trovare la giusta misura e la chiave migliore per reinterpretare storie immortali e garantire maggiore rappresentanza e rispetto per ogni cultura. Ma vale la pena ricordarsi sempre che, dopotutto, parliamo di opere di fantasia. E, nel bene o nel male, farci discutere è anche il loro compito.

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