Ha 43 anni, è donna e madre di due figli la persona che ha accettato di farsi inoculare un candidato vaccino protettivo per il Covid-19.
La somministrazione è avvenuta al Kaiser Permanente Washington Health Research Institute di Seattle; il farmaco, in studio, è stato messo a punto in tempi record dalla start up americana Moderna Inc. Un segnale importante per la ricerca, anche se ci vorrà almeno un anno prima di poter parlare di immunità attiva su larga scala.
In materia vaccinale non si può e non si deve avere fretta. Bisogna essere certi di aver centrato “l’obiettivo”, stimolando – con l’introduzione del candidato vaccino – una forte risposta immunitaria dell’organismo, eventualmente poi riattivabile con un richiamo. Per arrivare a questo bisogna fare dei test di sicurezza, per non incappare in effetti collaterali seri.
Solo dopo potranno partire gli studi clinici veri e propri, coi quali valutare quanto e come la somministrazione del candidato vaccino è in grado di stimolare la reazione degli anticorpi e di favorire la formazione di una “memoria” immunologica.
Il grande vantaggio è che il virus è stato “messo a nudo” nella sua componente genetica, dando la possibilità a tutto il mondo di adoperarsi in cerca di un vaccino. Secondo gli ultimi dati sono infatti decine i candidati in studio nel globo.
In Italia, ad esempio, Advent che fa parte di IRBM, a Pomezia, sta lavorando per mettere a punto un “cavallo di Troia”, capace di trasportare gli antigeni del coronavirus nell’organismo. Insomma, in ogni dove, la speranza è che si arrivi presto ad una soluzione efficace.
A cura di Federico Mereta, giornalista scientifico