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CURIOSITÀ 01 DICEMBRE 2020

Svelato il segreto della Blue Ring Nebula, l’anello mancante delle stelle

Il mistero durato 16 anni e considerato l’anello mancante delle stelle è stato finalmente svelato.

La sua vera natura è stata svelata: Blue Ring Nebula è dovuta alla fusione tra due stelle.
Individuata per la prima volta nel 2004 dal telescopio spaziale Galex della Nasa, si è presentata come un grumo gassoso di colore blu, con una stella al centro, denominata Tyc 2597-735-1 e prossima al piano galattico.

Altre osservazioni hanno, poi, mostrato che all’interno ospita una particolare struttura ad anello, valsa all’oggetto il singolare nickname. L’oggetto celeste, con molta probabilità, è costituito dai detriti di un evento traumatico, che ha visto due astri entrare in collisione, per poi fondersi in una singola entità.

Il team Galex ha condotto una campagna di osservazioni con due telescopi di terra, quello dell’osservatorio Palomar in California e quello dell’osservatorio Keck alle Hawaii.
Da questa è emersa la presenza di un’onda d’urto, attribuita ad un qualche evento violento avvenuto nei dintorni della stella centrale, e l’emissione di materiale dall’astro sulla sua superficie.
Questo fenomeno ha indotto ad ipotizzare la presenza di un pianeta fatto a pezzi dalla stella, dopo essersi avvicinato ad essa. Indagini condotte dal 2012 in poi hanno confutato questa ipotesi: non c’era nessun corpo celeste compatto in orbita attorno alla stella.

Gli studiosi hanno ripreso in mano la questione nel 2017, coinvolgendo esperti di fusioni/collisioni cosmiche, giungendo alla conclusione che la nebulosa altro non è che il risultato di una fusione “fresca”, verificatasi tra una stella simile al nostro Sole e un’altra più piccola.

La collisione avrebbe, quindi, lanciato nello spazio una nube di detriti roventi, che, successivamente, tagliata in due dal disco di gas, avrebbe generato due entità coniche. Col trascorrere dei millenni, la nube derivante dalla collisione si sarebbe raffreddata, originando polveri e molecole, incluse quelle dell’idrogeno che, scontrandosi col mezzo interstellare, avrebbe cominciato a brillare della specifica lunghezza d’onda del lontano ultravioletto, colta, poi, dagli strumenti di Galex.

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